E stavano lì, a guardarti, sulla soglia dell'incoscienza, incisione sulla pelle di un protagonismo celato, sembravano imbottiti come panini. Pieni di aria fritta e di qualche bicchiere di troppo.
Le guance rosse come mele, a disegnare la vergogna. Un boccone andato di traverso.
L'ennesimo.
Tu lo sapevi anche questa volta, un'altra perdita. Un'altra sconfitta. Gli occhi a cercare altri occhi, che, immancabilmente, si abbassavano come saracinesche dei negozi, all'ora di chiusura. Normale amministrazione.
Scena di sempre con un buon remake.
Le opzioni erano due: andarsene o restare.
L'istinto chiamava la prima. Senza dubbio.
L'incoerenza, no.
Non eri fatta per pensare troppo.
Eri per le decisioni al volo, per le cose pratiche. Poca poesia, molto realismo.
Troppa memoria. Ti ha sempre fottuto, la memoria.
Quel maledetto richiamo del tempo, dei luoghi, delle persone. Dei fatti.
La memoria, non c'è niente da fare, porta sempre a destinazione. Della verità.
Erano le ore 14 e 11 minuti di un freddo pomeriggio d'inverno.
Il gelo ti bruciava le mani.
La voce interrotta da un pensiero...
Non avevi puntini di sospensione a sufficienza.
A vestire quello strano pomeriggio, ti venne incontro anche la malinconia, quella stronzetta con la faccia da schiaffi, che insorgeva sempre nei momenti peggiori.
Un bel giro stretto di sciarpa e l'avresti strozzata volentieri. Con i guanti di lana, poi, avresti occultato il cadavere. E chi si è visto, si è visto. E, invece no. Te la tenevi stretta addosso, la tua inquietudine, come la copertina di Linus.
Brava te, scema e impavida.
Erano le 14 e 28 minuti primi, ferma da 17 minuti in una stazione quasi deserta, fra i fiocchi di neve e le luci di un natale smarrito e, non si vedeva ancora nessuno.
Hai sempre odiato aspettare.
Il senso dell'attesa ti ha sempre dato l'idea di una inutile perdita di tempo.
Come andare dal parrucchiere, dal medico o dal commercialista... sei lì che pensi sempre a quante altre cose avresti potuto fare. Nel mentre.
Paranoica e alienata quanto basta.
Mutevole, fluttuante. Come il mare che ti porti dentro.
Fredda come il clima che ti attraversa. Glaciale.
Forte e florida come le tue colline.
Un connubio quasi fatale per non farsi amare abbastanza o per farsi amare troppo.
Qui non arriva nessuno.
È quasi un'ora che aspetti.
L'ultima sigaretta. Qualcosa è andato storto.
Tanto per cambiare.
Inutile farsi domande.
Hai smesso di deluderti quando hai imparato a non illuderti più.
C'è un sole sbiadito, come la tua faccia, a fare capolino.
Il telefonino che squilla.
Janis Joplin ti urla nelle orecchie. E tu, che non senti più niente.
Summertime.
Rimane il rumore dei passi sulla neve, e tu, con la tua fierezza, che riporti a casa un sorriso di circostanza.
Petite
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