Io che tiravo troppo la corda e tu che trattenevi il fiato.
Spigoli senza protezione a raccogliere colpi accidentali e distratti,
reti a intrappolare umori e distanze, e
nuvole accoglienti ad ingannare il volo dei forse e dei mai,
la panchina dei però mi faceva compagnia da sempre, come un cane fedele,
senza allegria e con poca speranza.
Avevo esaurito il tempo e, forse, il tempo aveva esaurito me.
Maneggiavo con cura le emozioni,
assicurandomi che fossero ben sigillate dentro a un vetro da rompere,
"solo in caso d'emergenza".
Fumavo una sigaretta senz'anima, bruciandone l'essenza,
guardavo un orizzonte sempre più lontano,
osservavo le mie mani sempre più adulte,
uno smalto di un colore che non era il mio,
mani a cui qualcuno, un giorno, aveva regalato qualche verso di poesia: Piano_forte.
Un alternarsi di colori in sincronia,
come il battito del mio cuore quando si perde e poi si ritrova
tra le pieghe dei sensi fra un risveglio e l'altro,
con gli occhi ancora stropicciati da una notte in bianco e da un giorno nero.
Piano_forte.
Un suono che si ripete.
L'inganno e l'incanto dei paradossi.